Articolo Tre di Ernesto Maria Ruffini

Dopo il DEF, il cantiere delle tasse

Quando c’è il rischio che una nave possa affondare, la sequenza delle cose da fare è obbligata: turare le falle, svuotare le stive dall’acqua e dalla zavorra e quindi, una volta giunti in porto, andare in bacino e rifare la chiglia. C’è anche l’ipotesi di abbandonare la nave, ma tale opzione è alquanto individualistica, tanto più che la nave di cui parlo si chiama Italia.

L’azione del governo nei tredici mesi trascorsi ha cercato di turare le falle del sistema produttivo ed economico italiano con interventi fiscali tampone: il bonus da 80 euro, gli sgravi contributivi, l’abolizione dell’IRAP sul costo del lavoro e altri ancora, fino a raggiungere la ragguardevole cifra di circa 90 misure tributarie in un anno, di cui la metà, e forse più, di sgravi, esenzioni e agevolazioni, le cosiddette tax expenditures.

Il DEF di quest’anno si può iscrivere, sul piano fiscale, nella seconda fase del salvataggio della nave: svuotare l’acqua che la zavorra. Acqua che, nella fattispecie, si chiama clausole di salvaguardia: sono le norme che prevedono l’automatico aumento di alcune tasse in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio. Simpatiche norme, di cui dobbiamo l’invenzione a Berlusconi e Tremonti e che i governi successivi hanno, in buona parte, rinviato di anno in anno, riscrivendole in ogni legge di stabilità come giocolieri legali e contabili. Ora, approfittando del sereno che sembra annunciarsi, è il caso di cancellarle una volta per tutte, eliminando rincari che potrebbero portarci letteralmente a fondo.

Fatto questo, dovrà però arrivare la terza fase, che è quella del cantiere delle tasse. Gli interventi fin qui fatti hanno per lo più smontato alcuni pezzi del sistema tributario tramite sgravi; sono stati, insomma, una para-riforma fiscale fatta “per sottrazione”; e quel che è stato aggiunto (l’aumento delle tasse sulle attività finanziarie, ad esempio) è servito a fornire i mezzi per finanziare tali interventi, a tamponare. Un cantiere delle tasse dovrà invece sostituire le parti danneggiate con parti nuove, garantire il galleggiamento della nave e renderla più veloce e manovrabile, sfruttando i margini di bilancio, cosiddetti “bonus“, che dovrebbero essere disponibili da qui al 2017 (17-18 miliardi).

  • Occorrerà quindi avere un fisco per le imprese che sia orientato alla crescita nel suo insieme e non a pezzi, come avviene con le tax expenditures: c’è l’ACE, che sta funzionando bene; ci sarà l’imposta sul reddito d’impresa, quando sarà attuata la delega fiscale; ci può essere il criterio di cassa per i soggetti più piccoli, che consente di spesare subito gli investimenti; e ci potrebbe essere, mediante un nuovo regime dei minimi, l’assimilazione al lavoro dipendente dei lavoratori autonomi la cui attività è svolta in netta prevalenza con il loro lavoro (cosa fatta in Francia 90 anni fa).
  • Occorrerà trasformare il bonus di 80 euro, che oggi è conteggiato come spesa, in una caratteristica strutturale dell’Irpef. Ciò significa cambiare il sistema delle detrazioni, che  costituisce anche – come dicono gli economisti – un disincentivo “al margine” per il lavoro, in particolare femminile. La riforma dell’Irpef dovrà prevedere l’imposta negativa, cioè permettere di godere di detrazioni e deduzioni anche ai cosiddetti incapienti, coloro che, pur avendo un reddito, non possono giovarsi di tali sgravi perché non hanno, in tutto o in parte, tasse con cui compensarli. E l’imposta negativa costituirebbe la misura intermedia, il tassello fra le tasse “positive” pagate da chi ha un reddito e il reddito minimo garantito di chi che non ha neppure un reddito da tassare.
  • Occorrerà avere una tassazione patrimoniale razionale, perché la tassazione patrimoniale in Italia esiste già, ma è fatta con almeno sei prelievi diversi: quello sulle attività finanziarie, il bollo sulle stesse, l’Imu, la Tasi e le due imposte sulle attività detenute all’estero, IVIE su immobili e IVAFE su investimenti. Ci serve una sola tassa sugli immobili, da destinare solo ai comuni, senza sconti, ma da poter dedurre dall’imposta sul reddito. Ci serve una sola tassa sulle attività finanziarie che incoraggi e tuteli il risparmio, come previsto dalla Costituzione, in particolare quello previdenziale, e premi il suo investimento produttivo, penalizzando la mera rendita; il che non è impossibile, basta guardare quello che si fa all’estero, in particolare in Olanda.
  • Infine, occorrerà mettere ordine nelle leggi, nelle troppe leggi tributarie, chiudendone prima di tutto il rubinetto. Perché ciò che i non esperti in materia tributaria non comprendono è che le tasse non sono solo un’aliquota, una percentuale, una quantità; sono anche norme e adempimenti, che risultano, in Italia, molesti e costosi quanto e forse più del prelievo delle tasse in sé, specialmente per chi viene dall’estero. Su questo la delega fiscale contiene norme importanti, ma si può fare anche di più, cominciando, ad esempio, un lavoro di riordino e consolidamento delle leggi che porti a un codice tributario come esiste in molti paesi.

Un lavoro lungo, di almeno tre anni, ma che, se ben fatto, ci darà un sistema tributario destinato a durare a lungo, come tutti i sistemi ben fondati. Perché avrà il primo requisito di un buon sistema tributario: riflettere l’idea dell’economia e della società che vogliamo e contribuire a edificarla stabile e duratura. Sarà, insomma, ancor più che una nave, un ponte verso il futuro, destinato a durare nel tempo. Come quello che il colonnello Nicholson cerca, a dispetto della guerra, di far costruire sul fiume Kwai e di cui parlano un bel libro e un bellissimo film. “Sa, colonnello, volevo dirle: ho visto qui degli alberi molto simili all’olmo. E l’olmo del London Bridge è durato seicento anni.”“Seicento anni, Reeves?”“Sì, signore.”“Seicento anni… Sarebbe bello, eh?”

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