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Disgelo Usa-Cuba. I conflitti in bianco e nero

È un incontro storico quello tra Obama e Raul Castro all’Osa. Anche se la ripresa del dialogo tra due antichi nemici - dopo cinquanta anni di ostilità, drammi per generazioni di cubani, una crisi, quella dei missili sovietici nell’isola caraibica, che allora fece tremare il mondo - era avvenuta qualche mese fa e una, quasi furtiva, stretta di mano con il fratello di Fidel c’era già stata ai funerali di Mandela.

Ma a Panama l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti e uno degli uomini che oltre mezzo secolo fa fece la rivoluzione - in uno dei Paesi considerati secondo la dottrina Monroe “il giardino di casa” degli americani - non si limita a un gesto di cortesia.

Per la prima volta Cuba partecipa al vertice dell’Organizzazione degli Stati Americani, dopo che la Casa Bianca ha tolto il veto che durava sin dall’ascesa al potere di Castro. E mentre il Dipartimento di Stato fa sapere che presto sarà tolta dalla lista nera nella quale si trovano gli Stati accusati di sponsorizzare il terrorismo, come la Corea del Nord, la Siria e, non si sa ancora per quanto, l’Iran. Un’apertura che Obama completa con l’annuncio della ripresa delle relazioni diplomatiche e la fine dell’embargo.

Il meeting segna, dunque, il ritorno di Cuba nella comunità internazionale. Dopo il crollo dell’Urss, il comunismo caraibico era rimasto una sorta di fossile politico, privo anche economicamente della sponda della decaduta superpotenza globale sovietica. Cuba era ormai bloccata, sospesa nel tempo, senza un futuro che fosse quello di un malinconico tramonto. Un tempo simboleggiato dalla struggente bellezza delle Cadillac e delle Chevrolet degli anni Cinquanta che, ridipinte con colori carichi e inattuali e riparate con ricambi di fortuna, ancora circolano per l’isola. Il tempo e la malattia di Fidel hanno fatto il resto. Anche se il Lider maximo, non ha voluto sancire ufficialmente la “resa all’imperialismo yankee”. Il passaggio della leadership a Raul ha consentito al vecchio combattente della Sierra di non consegnarsi alla Storia come l’uomo che ha ceduto al Nemico. Ma la strada è tracciata e si aprirà del tutto con la scomparsa della vecchia guardia del movimento “26 luglio”.

Un Nemico che, a sua volta, non si considera più tale. Con grande rabbia delle frange più oltranziste della comunità cubana negli Usa, in particolare quella della Florida, composta da esuli politici, balseros, vecchi reduci di fallimentari tentativi di invasione come la Baia dei Porci o dei campi di addestramento della Cia immortalati per sempre dalla visionaria, ma non troppo, penna di Don de Lillo in Libra. Ne ha dato conto anche Raul, definendo Obama un presidente onesto.

Obama si è, infatti, impegnato a chiudere alcuni dei conflitti storici che hanno a lungo condizionato e avvelenato la vita politica americana. Certo, dare il via all’accordo sul nucleare iraniano ha un valore diverso che mettere fine ai contrasti con la decadente e ormai periferica Cuba.

Ma i principi che ispirano le sua scelte sono gli stessi: a partire dalla convinzione che. a mettere fine a regimi autoritari che pure hanno goduto di un certo consenso popolare non siano sanzioni e operazioni coperte, ma l’apertura di quelle società al pluralismo anche attraverso intese internazionali che per il loro contenuto meglio possano essere gestite da ceti politici meno condizionati da vecchi schemi ideologici e eredità del passato. Esattamente il contrario di quanto hanno fatto in questi decenni i predecessori di Obama, democratici o repubblicani che fossero. Anch’essi prigionieri di una concezione ideologica del Nemico. Salvo accorgersi che dopo la fine della Guerra fredda le vere minacce strategiche non venivano certo dagli ormai incanutiti barbudos dell’Avana o dagli ayatollah iraniani, assai realisti e poco propensi alle sfide esterne che potevano mettere in discussione il loro regime.

Così il presidente riluttante

ha messo fine in pochi mesi a due conflitti le cui immagini apparivano più che mai in bianco e nero. Per concentrarsi, nell’ultima parte del suo secondo mandato, sulla gestione dei conflitti che rappresentano un serio problema per gli interessi americani.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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