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Strage in tribunale a Milano. Se le toghe diventano il nemico

La strage di ieri al tribunale di Milano (fra le vittime un giudice, obiettivo principale dell’attentato) porta a chiedersi se - pur cambiando radicalmente in tempi, gli attori, le motivazioni e le modalità di azione - non vi siano nel nostro Paese, contro i magistrati, forme di violenza anche estrema che tendono a riproporsi ciclicamente ad opera di coloro che vogliono imporre ad ogni costo le proprie “ragioni” contro le regole dello Stato di diritto. Non solo mafiosi e terroristi. Adesso anche imputati comuni che sparano a raffica trasformando le aule di giustizia in un poligono di tiro.

Milano aveva già dovuto subire la tragica uccisione di due magistrati, Emilio Alessandrini (29 gennaio 1979) e Guido Galli (19 marzo 1980). Gli spietati terroristi di “Prima Linea” li avevano colpiti con protervia perché “colpevoli” di essere bravi e capaci nell’adempimento dei loro doveri istituzionali, tanto da conferire allo Stato una credibilità che la follia eversiva non poteva proprio tollerare (questi sofisticati “pensieri” figuravano nei volantini di rivendicazione). Ieri la furia omicida di Claudio Giardiello, carico di debiti e accusato di bancarotta, con alle spalle una serie di fallimenti nel settore immobiliare - ha stroncato assieme ad altre, la vita del giudice fallimentare Fernando Ciampi. Ai carabinieri che lo hanno arrestato Giardiello ha subito dichiarato «volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato».

Delirio per delirio, non c’è gran differenza fra i terroristi di “Prima linea” ed il killer di ieri, posto che in entrambe due i casi - in sostanza - si è voluto colpire chi faceva il suo dovere in modo intollerabile per gli “interessati”. Cambia molto invece il contesto (per dirla con Leonardo Sciascia). Uccidendo Galli e Alessandrini si voleva impedire che la credibilità della magistratura si consolidasse. Oggi invece sentire anche solo parlare di credibilità della magistratura è sempre più difficile e raro.

Intendiamoci, sarebbe assurdo anche solo ipotizzare una qualche relazione di causa ad effetto - sia pure soltanto indiretta - fra tale contesto ed i tredici micidiali colpi di pistola sparati dal Giardiello. Non lo penso minimamente. Vicende e traversie individuali possono aver inciso pesantemente sulla personalità del soggetto, magari alterando in profondo il suo equilibrio mentale.

Nello stesso tempo, però, inquieta la notizia di una pagina Facebook immediatamente aperta con il titolo “Claudio Giardiello criminale o eroe?”. La pagina non reca indicazioni su chi l’ha creata, per cui - forte della viltà che l’anonimato consente - lo spregiudicato signore (tanto per usare degli eufemismi) responsabili del dilemma "criminale o eroe", può sviluppare la sua teoria (?) sproloquiando, con qualche ipocrita distinguo, di “sistema che ti rovina l’esistenza e ti induce a commettere queste azioni”, oppure di “uomo taglieggiato dallo Stato che vuole solo fregarti con le tasse”.

Sociologismo d’attacco che però su menti deboli o bacate può avere effetti perversi, specie quando si accompagna a certi luoghi comuni ossessivamente

ripetuti nel corso degli ultimi venti anni e ancora oggi, secondo cui i giudici sono poco meno che una congrega di fannulloni incapaci, che sbagliano in continuazione e non pagano mai, soprattutto se non ti danno ragione comportandosi come tuoi “nemici”.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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