Euro e Lira: se Bagnai sbaglia un grafico
Alberto Bagnai è il principale guru del ritorno alla lira. È quindi opportuno, per chi voglia comprendere le ragioni dei nostalgici, leggere il suo libro “Il tramonto dell’euro”, sacrificando, se necessario, 17 euro (o, per usare l’unità di conto preferita da Bagnai, 32.917 lire).
Purtroppo non ci vuole molto per incappare nel primo sbaglio, già a pag. 36 delle 400 che compongono il ponderoso volume. È un grafico, la figura 5, che riporta la quota dell’euro sul totale delle riserve detenute dalle banche centrali nel mondo. Quanti euro ci sono nelle banche centrali di tutto il mondo. Ecco il grafico, rifatto sulla base degli stessi dati FMI usati dal professor Bagnai.
Cosa ne deduce il docente di Pescara? Che l’euro non è riuscito a infrangere il predominio del dollaro come valuta internazionale; e che quindi l’argomento dell’euro come valuta forte con cui pagare le materie prime e attirare capitali è infondato. La “prova”, come la definisce lui, è appunto il grafico: le riserve mondiali in euro sono scese dal 20% del 1995 (sommando i dati delle valute pre-euro) al 14% del 2011. E cachinna l’illustre docente: “Non sembra che le banche centrali abbiano particolarmente creduto nell’euro. E se non ci hanno creduto loro, che se ne intendono…” (pag. 37).
Sbagliato, professore. Sbagliata l’analisi. E, quel che è peggio per un economista, sbagliato il grafico. E, aggiungo, inutile il tutto.
Sbagliata l’analisi. Il professore dimentica che, quando l’euro è entrato in vigore (1999) ha sostituito 12 valute (le 11 dei paesi aderenti e l’Ecu), ciascuna delle quali costituiva riserva per gli altri paesi della futura area euro. Una volta rimpiazzate dall’euro, hanno cessato di essere considerate tali, come precisa lo stesso FMI: “Foreign exchange reserves … do not include holdings of currency by the issuing country. For instance, the U.S. dollar assets of the Federal Reserve and the euro assets of the European Central Bank and member countries of the European Economic and Monetary Union are not foreign exchange reserves.” Di qui il calo registrato tra il 1995 e il 1998.
Sbagliato il grafico. Quando si mostra la composizione di un aggregato (in questo caso le riserve internazionali di valute), non è corretto rappresentare solo una componente (l’euro), perché il suo peso percentuale può variare per effetto della variazione di altre voci (altre riserve). Quella componente può anche aumentare in valore assoluto, e così è stato per le riserve in euro, cresciute dal 1999 al 2013 del 497% (contro il 280% di quelle in dollari); ma la quota può sembrare invariata o in diminuzione solo perché la quota di un’altra componente è cresciuta molto di più. Questo è il grafico che avrebbe dovuto inserire Bagnai, se avesse voluto dare un’informazione completa ai suoi lettori; con l’occasione l’ho aggiornato al 2013.
Come si vede, a spiazzare (e neanche tanto) l’euro non è stata la sua debolezza, ma semplicemente l’abnorme crescita delle riserve indistinte (unallocated); le quali sono le riserve dei paesi che non dicono come sono composte le loro riserve. Per sapere se l’euro è stato o meno un successo a livello internazionale, bisognerebbe aprire questo aggregato; forse salterebbe fuori che si tratta in gran parte di dollari (magari di titoli di Stato USA detenuti dalla People’s Bank of China), ma non lo possiamo sapere con certezza. Quindi il grafico è non solo sbagliato, perché considera solo una componente, ma è anche inutile, perché i dati di partenza non spiegano quasi il 50% della situazione.
“Tutto qui?” dirà qualcuno.
Non è poco, se ci pensate. Abbiamo un studioso di economia, laureato in econometria e professore di politica economica che sembra fare un uso alquanto leggero e disinvolto di quei numeri che dovrebbe saper trattare con adeguata sapienza.
Ignoranza? Devo escluderlo. Malafede? Voglio escluderlo. Cosa, allora? Direi parzialità. Meglio ancora, parlerei di “autoconformismo”, basato sulla nostalgia di un passato noto e per questo un po’ idealizzato. Bagnai – e alcuni di quelli che lo seguono – ha visto la luce: l’euro è la causa di tutti i mali, torniamo indietro; così semplice, così comodo da dire. E, quando uno “vede la luce”, è abbagliato e non scorge, neppure cerca altro che quello che gli dà ragione: senza malizia, in buona fede, magari, solo trasportato dalla foga di darsi ragione, anche a costo di leggere e calcolare male. E inficiare così il contributo che potrebbe dare al dibattito.
Non ci vuole molto. Basta sbagliare un grafico.