|
Sergio
Flamigni, Il covo di Stato
SINTESI
DELLE PRINCIPALI NOTIZIE CONTENUTE NEL NUOVO
LIBRO-INCHIESTA
DI SERGIO FLAMIGNI SUL DELITTO MORO
Un
agente del Sismi, compaesano di Moretti, in via Gradoli
Flamigni rivela che al n° 89
di via Gradoli, nell’edificio di fronte al civico 96 dove c’era il covo-base
delle Br morettiane, prima e durante il sequestro Moro abitava il sottufficiale
dei carabinieri Arcangelo Montani. Il Montani aveva due particolarità:
era un agente del Sismi, e proveniva da Porto San Giorgio (era dunque compaesano
del capo brigatista Mario Moretti, nato a Porto San Giorgio nel 1946).
Durante il sequestro Moro, il 31 marzo 1978, lo stesso contrammiraglio
Fulvio Martini (allora vice direttore del servizio segreto militare) intervenne
a favore del Montani in seguito a un esposto presentato ai carabinieri
da alcuni inquilini del condominio di via Gradoli 89, i quali lamentavano
di avere subito vessazioni da parte del sottufficiale.
L’ingegner
Ferrero e il capo delle Br
Flamigni ricostruisce le vicende
relative all’appartamento utilizzato da Moretti per la base-covo. A partire
dallo stranissimo contratto d’affitto stipulato in fretta e furia nel dicembre
1975 dai proprietari dell’immobile, i coniugi Giancarlo Ferrero e Luciana
Bozzi, con l’inquilino “Mario Borghi” alias Mario Moretti: un contratto
privo delle date di stipula e di decorrenza, che non venne registrato,
e firmato solo da Luciana Bozzi (benché l’appartamento fosse intestato
anche al marito, e fosse stato lo stesso Ferrero a compilarlo). Il capo
delle Br utilizzava anche il box-auto nel garage di via Gradoli 75 di proprietà
dei coniugi Ferrero, ma questo nel contratto d’affitto non risultava. Né
i locatori sono stati in grado di dimostrare quanto l’inquilino Borghi-Moretti
pagasse di canone d’affitto, e neppure se lo pagasse regolarmente.
Flamigni ricostruisce poi la brillante
carriera dell’ingegner Ferrero negli anni successivi al 1978; come facoltoso
e potente manager di informatica e telecomunicazioni, con incarichi richiedenti
il Nos (“Nulla osta di sicurezza”, la speciale autorizzazione – rilasciata
dalle autorità Nato, previo parere favorevole dei servizi segreti
italiani – che permette di svolgere attività nei settori strategici
per la sicurezza nazionale e atlantica). Oggi l’ingegner Giancarlo Ferrero
siede nel consiglio di amministrazione della Omnitel Pronto Italia, a fianco
del presidente della Telecom Roberto Colaninno. Dal 1° gennaio 1999
è anche amministratore delegato della Bell Atlantic International
Italia srl, filiale italiana della grande multinazionale americana di servizi
e prodotti nel settore delle telecomunicazioni – servizi e prodotti che
riguardano anche il settore degli armamenti Nato e la stessa sicurezza
nazionale.
Contatti
Br-Sismi a Firenze
Nel libro si racconta che il 3 marzo
1993, a Firenze, in un monolocale di via Sant’Agostino 3, vennero casualmente
trovate armi da guerra e munizioni: il defunto padre del proprietario dell’immobile,
il marchese Alessandro Pianetti Lotteringhi della Stufa, molti anni prima
aveva messo quel monolocale a disposizione di Federigo Mannucci Benincasa,
capo centro di Firenze del Sismi negli anni dal 1971 al 1991. Dal processo
(sentenza del Tribunale di Firenze del 23 aprile 1997) è poi emerso
che il centro Sismi di Firenze stabilì un collegamento con una fonte
informativa brigatista nel periodo in cui le Br preparavano il sequestro
Moro; che quel contatto fu attivo durante tutto il periodo del sequestro,
mentre a Firenze era riunito in permanenza il Comitato esecutivo Br che
dirigeva l’operazione; e che quel contatto si interruppe solo nel 1982.
L’identità del brigatista informatore del Sismi non è mai
stata resa nota, ma Flamigni ipotizza che potrebbe trattarsi del criminologo
Giovanni Senzani, il quale abitava in Borgo Ognissanti, a due passi dal
monolocale di via Sant’Agostino usato da Federigo Mannucci Benincasa.
Importanti
conferme dei collegamenti via Gradoli-Sisde
Il libro riporta due documenti “riservati”:
una relazione e un appunto, datati 7 maggio 1998, firmati rispettivamente
dal capo della polizia Fernando Masone e dal capo del Sisde Vittorio Stelo,
e inviati al ministro dell’Interno e al Cesis in seguito alla pubblicazione
del libro di S. Flamigni “Convergenze parallele”. La relazione di Masone
conferma che «[la Fidrev srl, società di consulenza del Sisde]
era a sua volta controllata dall’immobiliare Gradoli, nella quale sindaco
supplente, dal giugno 1977, era tale Gianfranco Bonori, nato a Roma il
26-7-52. Il Bonori, dal 1988 al 1994, ha assunto l’incarico di commercialista
di fiducia del Sisde, subentrando alla Fidrev. [...] Il prefetto Parisi
risulta avere acquistato, con atto [notarile] del 10 settembre 1979, un
appartamento al civico 75 di via Gradoli e, successivamente, sempre al
civico 75, altri due appartamenti e un box. Inoltre nel 1986 acquistò,
intestandolo alla figlia Maria Rosaria, un appartamento sito al civico
96, e nel 1987 un altro appartamento sito allo stesso civico intestandolo
alla figlia Daniela». L’appunto del prefetto Stelo precisa inoltre
che «la società Fidrev, azionista di maggioranza dell’immobiliare
Gradoli, risulta aver svolto assistenza tecnico-amministrativa per la Gus
e
la Gattel [società di copertura del Sisde, ndr], dalla loro costituzione
fino al 14 ottobre 1988. In pari data, per incarico dell’amministratore
pro tempore delle due società, Maurizio Broccoletti, subentrò
in tale consulenza il ragionier Gianfranco Bonori, già sindaco supplente
dell’immobiliare Gradoli. Tale attività di consulenza è cessata
il 27 luglio 1994».
Dal capo
Br Mario Moretti al funzionario del Sisde Maurizio Broccoletti
Fra il materiale trovato nel covo
Br di via Gradoli 96 il 18 aprile 1978 c’erano un appunto manoscritto di
Moretti: «Marchesi Liva – 659127 – mercoledì 22 ore 21 e un
quarto» (la data corrispondeva a mercoledì 22 marzo 1978,
sei giorni dopo la strage di via Fani e il sequestro), e un altro «foglietto
manoscritto con recapito telefonico n° 659127 dell’immobiliare Savellia».
La sede della Savellia srl era nel Palazzo Orsini di via Monte Savello,
vicino al Portico D’Ottavia, la zona del Ghetto ebraico che dista poche
centinaia di metri da via Caetani. E il palazzo Orsini era la residenza
della «marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani, nobildonna romana
che si firmava anche Liva». Presidente del collegio sindacale dell’immobiliare
Savellia srl era il commercialista Giovanni Colmo. Questi, tempo dopo il
delitto Moro, diventerà segretario (e suo figlio Andrea, membro
del collegio sindacale della Savellia, ne diventerà amministratore
unico) della immobiliare Palestrina III srl, una società di copertura
del Sisde. Inoltre, presso lo studio del commercialista Giovanni Colmo,
in via Antonelli, avranno sede l’immobiliare Proim srl (dal 1990 con amministratore
unico Andrea Colmo e socio il padre Giovanni) e l’immobiliare Kepos srl:
due società immobiliari di copertura del Sisde.
Il 14 dicembre 1990 l’assemblea
della Palestrina III srl nominerà segretario Giovanni Colmo e amministratore
unico il fiduciario del Sisde Mario Ranucci (stretto collaboratore di Maurizio
Broccoletti). Il legame fiduciario di Mario Ranucci con il Sisde è
certo e collaudato nel tempo: una sua ditta di pulizie, C.R. Servizi srl,
ha avuto l’appalto delle pulizie negli appartamenti del capo dello Stato
Oscar Luigi Scalfaro, negli uffici del Sisde, negli uffici del capo della
polizia Vincenzo Parisi, e in quelli di molti altri alti funzionari del
Viminale. Per anni strettissimo collaboratore di Maurizio Broccoletti,
nel processo per i “fondi riservati” del Sisde Ranucci ha confermato di
essere stato fiduciario-prestanome per alcune società di copertura
del Servizio su mandato del Broccoletti.
Da
via Gradoli al Sisde
In via Gradoli 96, l’appartamento
attiguo al covo brigatista era abitato dalla studentessa universitaria
di origine egiziana Lucia Mokbel, che era un’informatrice della polizia,
e dal suo convivente Gianni Diana. L’appartamento abitato dai due era di
proprietà della società Monte Valle Verde srl, che glielo
aveva ceduto in uso. Il Diana lavorava nello studio del commercialista
Galileo Bianchi, il quale – tre giorni dopo la “scoperta” del covo Br,
il 21 aprile 1978 – venne nominato amministratore unico della Monte Valle
Verde srl in sostituzione del dimissionario Aldo Bottai. Bottai era il
socio fondatore della Nagrafin spa, e la Nagrafin poi darà vita
alla Capture Immobiliare srl, una società di copertura del Sisde.
Foto
intimidatorie ai magistrati che cercavano le basi Br nel Ghetto ebraico
Flamigni ricostruisce la vicenda
di Elfino Mortati, latitante a Roma dopo l’omicidio del notaio Gianfranco
Spighi (avvenuto a Prato il 10 febbraio 1978), arrestato a Pavia ai primi
di luglio del 1978, poche settimane dopo l’uccisione di Moro. Interrogato
dal magistrato, Mortati dichiarò di essere stato in contatto con
elementi legati alle Brigate rosse durante il sequestro Moro. Nel corso
della latitanza romana (dal febbraio ai primi di giugno 1978) Mortati aveva
abitato in un appartamento di via dei Bresciani, e aveva pernottato diverse
volte in altri due appartamenti “coperti”, situati nella zona del Ghetto,
ospite delle Br. Ricorda il giudice istruttore Ferdinando Imposimato: «Io
e il collega Priore caricammo Mortati su un pulmino dei carabinieri e girammo
in lungo e in largo, anche a piedi, per il Ghetto, ma senza alcun risultato.
Pochi giorni dopo il mistero si infittì quando mi vidi recapitare
in ufficio una foto scattata quella sera, e nella foto c’eravamo io, Priore
e Mortati»; la foto ritraeva i tre mentre erano in via dei Funari-angolo
via Caetani. Quella foto venne scattata da un osservatorio dei servizi
segreti italiani. Di quell’intimidazione non venne informata la Commissione
d’inchiesta sul caso Moro, né le foto risultano agli atti del processo
Moro trasmessi alla Commissione.
Dalle dichiarazioni di Mortati,
dagli accertamenti svolti dai vigili urbani, dalle notizie delle fonti
confidenziali trasmesse, gli inquirenti arrivarono a individuare un covo
brigatista situato nel Ghetto ebraico di Roma durante il sequestro Moro
(in via Sant’Elena n° 8, interno 9). Ma a quel punto tutto si fermò:
una speciale immunità protesse le Brigate rosse anche nel Ghetto
ebraico.
Una Jaguar,
il Ghetto ebraico e un colonnello della P2
Nel covo Br di via Gradoli il 18
aprile 1978 venne trovata la chiave di un’auto con un talloncino di cartone
sul quale c’era scritto su un lato «Jaguar 2,8 beige H 52559 via
Aurelia 711», e sull’altro «FS 915 FS 927 porte Sermoneta Bruno».
Era una traccia che portava nel Ghetto ebraico, dove c’erano alcune basi
e punti d’appoggio delle Br che tenevano prigioniero Moro, ma le indagini
vennero avviate solo a partire dal 12 ottobre 1978 (cioè 5 mesi
dopo l’uccisione del presidente Dc). Bruno Sermoneta era un commerciante
di 37 anni che gestiva un ampio negozio di biancheria e tappeti con ingresso
in via Arenula e retro in via delle Zoccolette, nei pressi del Ghetto ebraico.
Le indagini furono coordinate dal tenente colonnello Antonio Cornacchia
(affiliato alla Loggia P2). Dal rapporto finale del piduista Cornacchia
traspariva evidente che non era stata svolta alcuna effettiva indagine
preliminare nei riguardi di Bruno Sermoneta, il quale anzi era stato messo
al corrente del ritrovamento della chiave a suo nome nel covo Br di via
Gradoli.
Il
passo carraio vicino a via Caetani
Le indagini per individuare i locali
adatti ad accogliere la Renault rossa delle Br sulla quale il 9 maggio
1978 era stato fatto ritrovare il cadavere di Aldo Moro diedero «esito
negativo». Nella zona del Ghetto da perlustrare era compresa via
Monte Savello, dove al n° 30 c’era un passo carraio con accesso a palazzo
Orsini che conduceva a un garage. Le forze di polizia omisero di indagare
nei cortili dei palazzi dei nobili casati. Nella zona era compresa anche
via Caetani, là dove c’era un passo carraio che immetteva nel cortile
dei restauri dell’antico Teatro di Balbo, e nell’altro lato della strada
c’era un passo carraio che immetteva in un cortile di palazzo Mattei, confinante
con palazzo Caetani; a quest’ultimo edificio si accedeva dal passo carraio
di via delle Botteghe Oscure 32. E se palazzo Caetani ospitava diverse
sedi diplomatiche coperte da immunità territoriale, non così
era per l’attiguo palazzo Mattei, ideale come “luogo di ricetto di autovettura”,
che però le forze di polizia omisero di segnalare: la Renault delle
Br avrebbe potuto entrare e uscire dall’ampio passo carraio situato in
via dei Funari, cioè proprio nei paraggi percorsi a piedi dai giudici
Imposimato e Priore insieme a Mortati, quando vennero fotografati a scopo
intimidatorio.
|