GLI ATTACCANTI (III parte) |
Scritto da Alberto Rossetto | |
sabato 12 agosto 2006 | |
Era Paolo Rossi e la Juventus c'è stato un lungo matrimonio, mai però d'amore. Fragile e smunto, con la faccia da bravo ragazzo, arriva a Torino appena quindicenne su indicazione di Allodi. Nel 1975 viene dirottato a Como ed inizia il suo calvario fisico: tre menischi asportati. Passa quindi al Vicenza dove ha la fortuna di imbattersi nel presidente Farina e soprattutto nell'allenatore G.B. Fabbri e grazie alle sue reti i veneti conquistano la promozione nella massima serie. Al termine della stagione Farina si svena pur di assicurarsi alle buste il giocatore, visto che la comproprietà era ancora della Juve. Da quel momento Rossi ritorna a giocare, con una fama poco gradita, le società in cui militiva non erano di certo baciate dalla fortuna: infatti il Vicenza ritornò in serie B travolto dai debiti dell'allegra gestione Farina, Rossi venne ceduto al Perugia dove fu invischiato nel calcio-scommesse e puntualmente gli umbri retrocedettero.
In ogni caso Boniperti decise di puntare ancora sul centravanti toscano e terminata la squalifica di due anni, lo rimette in campo per le battute finali del campionato 1981-'82 (esordio con gol a Udine).
Al ritorno con la Spagna nascono i primi contrasti in casa Juve a causa di una richiesta di ritocco del contratto, cosa che l'ambiente non gradisce affatto; anche sul campo nascono le prime divergenze con Trapattoni che non esita a sostituirlo sempre più spesso, anche con Giovanni Koetting. Rossi si sente più che altro un "sopportato", capisce che ha fatto il suo tempo e comincia a lusingarlo l'idea di trasferirsi al Milan che era stato acquistato dal suo vecchio scopritore, Giussy Farina. Chiude l'avventura bianconera dopo la tragica partita dell'Heysel: è destino che nella carriera di questo calciatore ci sia sempre stato qualche avvenimento drammatico. Passa al Milan e poi chiude definitivamente a Verona. Sfortunatissimo invece è stato Massimo Briaschi, una guizzante e sgusciante ala destra prelevata dal Genoa nel 1984. La prima stagione in bianconero è un crescendo di soddisfazioni che culminano con la conquista della Coppa dei Campioni e tredici reti sono il prodotto personale del vicentino. Ma un infortunio rimediato a Bordeaux nella semifinale di Coppa Campioni si rivela più serio del previsto e lo costringerà al definitivo abbandono nel 1987 dopo una lunga convalescenza. E rimanendo nel campo della sfortuna come non citare Pierluigi Casiraghi, un autentico ariete acquistato dal Monza nel 1989 e poi ceduto alla Lazio nel 1993 e da qui al Chelsea; nella Premier League subisce un gravissimo infortunio che ne pregiudica il prosieguo. All'inizio l'unico numero di cui è dotato Casiraghi è il colpo di testa, potentissimo, supportato da una grande elevazione, poi si affina anche di piede e diventa prezioso per le vittorie juventine di Coppa Italia e Coppa Uefa con Zoff in panchina prima e Trapattoni seconda edizione dopo.
Zbignew Boniek si mette in luce al mondiale di Spagna e subito viene acquistato dalla dirigenza bianconera, anche se il feeling con Madama era nato già nel 1979 a seguito di una partecipazione del polacco nella rappresentativa del Resto del Mondo; poi la scelta venne dirottata su Brady e Boniek dovette aspettare tre anni prima di vestire la casacca a strisce, durante i quali si prese anche il lusso di eliminare dalla Coppa Uefa con il Widzew Loch proprio la Juventus.
Figlio d'arte (il padre Jozef era stopper nella serie A polacca), per la sua generosità e per il suo talento era diventato uno dei beniamini della curva Filadelfia; le sue galoppate mandavano in visibilio i tifosi e creavano voragini nelle difese avversarie sulle quali si avventavano a turno ora Rossi, ora Platini, che del "Leone di Polonia" ne diventa l'amico più sincero.
Nel 1985 viene contattato dalla Roma e non potendogli offrire quanto il club giallorosso, la Juventus lo lascia partire, preferendogli il più giovane Michael Laudrup. Non a caso Laudrup venne acquistato su consiglio di John Hansen e per la sua giovane età venne "parcheggiato" alla Lazio. A Roma divenne "Michelino", ma rimase coinvolto suo malgrado nella crisi tecnico-societaria della squadra capitolina; dopo due anni di purgatorio calcistico nella capitale viene inserito nei ranghi bianconeri dove all'inizio illude tutti con degli spunti da fuoriclasse che, purtroppo, nel corso del tempo, diventano sempre più rari. Dopo aver collezionato 151 presenze e 35 reti si trasferisce nel 1989 al Barcellona. Massimo Mauro era il tornante della squadra che nel 1985-'86, doveva essere sperimentale ed invece incamerò, seppur con qualche affanno di troppo, il ventiduesimo scudetto. Diligente, ma dal passo un po' troppo cadenzato, Mauro si vanta giustamente di aver giocato a fianco dei tre più grandi assi del pallone degli anni Novanta, vale a dire Platini nella Juventus, Maradona nel Napoli e Zico nell'Udinese. Nella Juve segna solo 7 reti a fronte di 149 presenze.
Chi invece ha avuto un impressionante media gol/partite giocate è stato Aldo Serena, centravanti giramondo di Montebelluna, 36 centri in 71 incontri. Inter, Como, Bari, Inter, Milan, ancora Inter, Torino prima di approdare alla Juve dove si ferma dal 1985 al 1987, di nuovo Inter e Milan dopo. E venne il turno del protagonista delle notti magiche (?!) di Italia 90, Salvatore Schillaci. Acquistato dal Messina per far coppia con Casiraghi, Totò sogna di ripetere le gesta del conterraneo Anastasi, al quale lo paragonano per i rapidi ed imprevedibili guizzi sotto rete. In definitiva brilla una sola estate, quella appunto del mondiale italiano, segna sei reti da favola ed ogni volta sgrana quegli occhi sbarrati simili a fari puntati nella notte. L'avventura mundial sarà il culmine del sogno, la Juve, condizionata dai successi del Milan olandese, ha fretta di tornare grande e non ha tempo di aspettare un ragazzo trovatosi impreparato e smarrito davanti a tanta popolarità. Schillaci passa all'Inter e neanche in nerazzurro ritrova con regolarità la via del gol, poi va a cercar gloria nella giapponese Jubilo Iwata. Di scuola tedesca, ma con giocate alla brasiliana, si muove Andreas Möller che per potenza e classe ricorda il predecessore Haller e come lui non è supportato da un carattere... teutonico. Nella sua permanenza bianconera, dal 1992 al 1994, gioca 78 volte, segna 30 reti e contribuisce decisamente alla conquista della Coppa Uefa del 1993.
Angelo Di Livio, infaticabile "soldatino" presidia con puntiglio la corsia esterna, è un infaticabile combattente di fascia, si evidenzia per le doti di serietà, diligenza e caparbietà, oltre ad una lucida e puntuale visione di gioco. Cresciuto nella Roma, sua città natale, si mette in luce nel Padova, da cui la Juve lo acquista nel 1993.
Il 1994 rappresenta per la Juventus l'anno di un'ennesima svolta che coincide con l'apertura di un ennesimo ciclo vincente. Cambiano i vertici societari e di conseguenza vengono rivoluzionati i quadri tecnici, la Juve da nove anni non vince uno scudetto: se si eccettua il periodo tra il primo e secondo scudetto, non era mai passato così tanto tempo!
L'alter ego di Vialli è stato Fabrizio Ravanelli, differente estrazione sociale, differente bagaglio tecnico, ma tanta, tanta forza di volontà. La Juve lo preleva dalla Reggiana nel 1992, è già un attaccante di grande stazza fisica, ma altrettanto grezzo. La sua voglia di emergere lo porta ad affermarsi sia in bianconero che in Nazionale. Tra le altre segna la rete del provvisorio vantaggio a Roma nella finale con l'Ajax che spiana la strada al successo finale. Saranno in tutto 67 realizzazioni in 159 partite, realizza anche una quaterna contro il CSKA Sofia. Proveniva dal calcio dilettantistico torinese e da una lunga gavetta in società minori, la Juve lo aveva acquistato nel 1995 come punta di rincalzo, invece Michele Padovano, quando chiamato in causa, ha sempre saputo farsi trovare pronto e realizzare anche reti "pesanti". Efficace e pungente, dunque partecipa a pieno titolo ai successi in campionato e coppa fino al 1997 quando si trasferisce al Crystal Palace.
Terminiamo con Filippo Inzaghi, un vero "animale da gol", secondo la definizione datagli da Lippi. Intelligente e furbo come pochi si trova sempre nel posto giusto al momento giusto per spingere il pallone in rete. Gioca sempre sul filo del fuorigioco ed ingaggia una guerra di nervi con la terna arbitrale ed i difensori. 15 gen. 2003 |
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