Sergio Flamigni. I segreti di Via Gradoli e la morte di Moro
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utile: Brigate rosse
e Aldo Moro
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documenti sulle Brigate rosse
SERGIO FLAMIGNI (Forlì, 1925) ha aderito al Pci
clandestino nel 1941, e durante la Resistenza è stato
Commissario politico della 29ª Brigata Garibaldi Gap “Gastone Sozzi’’. Nel 1952 segretario Cgil della Camera del Lavoro di Forlì, nel 1956 segretario
della Federazione comunista di Forlì, nel 1960 Segretario regionale
dell’Emilia Romagna. Parlamentare del Pci dal 1968 al
1987, ha fatto parte delle Commissioni d’inchiesta sul caso Moro, sulla Loggia
P2 e Antimafia.
Un libro impedibile : Il covo di Stato –Via Gradoli e
il delitto Moro- La strana scelta di “Mario Borghi”, e la scoperta pilotata del
covo. Da via Gradoli al Lago
della Duchessa; al covo di via Montalcini; alla
tipografia di via Foà; alla base di Firenze; al
Ghetto ebraico; allo scandolo dei fondi riservati del
Sisde. Le prove documentali che la base Br di via Gradoli
era un “covo di Stato”.
Un agente del Sismi, compaesano di Moretti, in
via Gradoli
Flamigni rivela che al n°
89 di via Gradoli, nell’edificio di fronte al civico
96 dove c’era il covo-base delle Br morettiane, prima e durante il sequestro Moro abitava il
sottufficiale dei carabinieri Arcangelo Montani. Il Montani
aveva due particolarità: era un agente del Sismi, e proveniva da Porto San
Giorgio (era dunque compaesano del capo brigatista Mario Moretti, nato a Porto
San Giorgio nel 1946). Durante il sequestro Moro, il 31 marzo 1978, lo stesso
contrammiraglio Fulvio Martini (allora vice direttore del servizio segreto
militare) intervenne a favore del Montani in seguito a
un esposto presentato ai carabinieri da alcuni inquilini del condominio di via Gradoli 89, i quali lamentavano di avere subito vessazioni
da parte del sottufficiale.
L’ingegner Ferrero e il capo delle Br
Flamigni ricostruisce le
vicende relative all’appartamento utilizzato da Moretti per la base-covo. A
partire dallo stranissimo contratto d’affitto stipulato in fretta e furia nel
dicembre 1975 dai proprietari dell’immobile, i coniugi Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, con l’inquilino “Mario Borghi”
alias Mario Moretti: un contratto privo delle date di stipula
e di decorrenza, che non venne registrato, e firmato solo da Luciana Bozzi
(benché l’appartamento fosse intestato anche al marito, e fosse stato lo stesso
Ferrero a compilarlo). Il capo delle Br utilizzava anche il box-auto nel garage di via Gradoli 75 di proprietà dei
coniugi Ferrero, ma questo nel contratto d’affitto
non risultava. Né i locatori sono stati in grado di dimostrare quanto
l’inquilino Borghi-Moretti pagasse di canone
d’affitto, e neppure se lo pagasse regolarmente.
Flamigni ricostruisce poi la brillante carriera
dell’ingegner Ferrero negli anni successivi al 1978;
come facoltoso e potente manager di informatica e
telecomunicazioni, con incarichi richiedenti il Nos
(“Nulla osta di sicurezza”, la speciale autorizzazione – rilasciata dalle
autorità Nato, previo parere favorevole dei servizi segreti italiani – che
permette di svolgere attività nei settori strategici per la sicurezza nazionale
e atlantica). Oggi l’ingegner Giancarlo Ferrero siede
nel consiglio di amministrazione della Omnitel Pronto Italia, a fianco del presidente della Telecom Roberto Colaninno. Dal 1°
gennaio 1999 è anche amministratore delegato della Bell
Atlantic International
Italia srl, filiale italiana della grande
multinazionale americana di servizi e prodotti nel settore delle
telecomunicazioni – servizi e prodotti che riguardano anche il settore degli
armamenti Nato e la stessa sicurezza nazionale.
Contatti Br-Sismi a Firenze
Nel libro si racconta che il 3 marzo 1993, a Firenze, in un monolocale di via Sant’Agostino 3, vennero
casualmente trovate armi da guerra e munizioni: il defunto padre del
proprietario dell’immobile, il marchese Alessandro Pianetti
Lotteringhi della Stufa, molti anni prima aveva messo
quel monolocale a disposizione di Federigo Mannucci Benincasa, capo centro di Firenze del Sismi negli anni dal
1971 al 1991. Dal processo (sentenza del Tribunale di Firenze del 23 aprile
1997) è poi emerso che il centro Sismi di Firenze stabilì
un collegamento con una fonte informativa brigatista nel periodo in cui le Br preparavano il sequestro Moro; che quel contatto fu
attivo durante tutto il periodo del sequestro, mentre a Firenze era riunito in
permanenza il Comitato esecutivo Br che dirigeva
l’operazione; e che quel contatto si interruppe solo nel 1982. L’identità del
brigatista informatore del Sismi non è mai stata resa
nota, ma Flamigni ipotizza che potrebbe trattarsi del
criminologo Giovanni Senzani, il quale abitava in
Borgo Ognissanti, a due passi dal monolocale di via Sant’Agostino
usato da Federigo Mannucci Benincasa.
Importanti
conferme dei collegamenti via Gradoli-Sisde
Il libro riporta due documenti “riservati”: una relazione e un appunto, datati
7 maggio 1998, firmati rispettivamente dal capo della polizia Fernando Masone e dal capo del Sisde
Vittorio Stelo, e inviati al ministro dell’Interno e al Cesis
in seguito alla pubblicazione del libro di S. Flamigni
“Convergenze parallele”. La relazione di Masone
conferma che «[la Fidrev srl,
società di consulenza del Sisde] era a sua volta
controllata dall’immobiliare Gradoli, nella quale
sindaco supplente, dal giugno 1977, era tale Gianfranco Bonori,
nato a Roma il 26-7-52. Il Bonori,
dal 1988 al 1994, ha assunto l’incarico di commercialista di fiducia del Sisde, subentrando alla Fidrev. [...] Il prefetto Parisi risulta avere acquistato, con atto [notarile] del 10
settembre 1979, un appartamento al civico 75 di via Gradoli
e, successivamente, sempre al civico 75, altri due appartamenti e un box.
Inoltre nel 1986 acquistò, intestandolo alla figlia Maria
Rosaria, un appartamento sito al civico 96, e nel 1987
un altro appartamento sito allo stesso civico intestandolo alla figlia
Daniela». L’appunto del prefetto Stelo precisa inoltre che «la società Fidrev, azionista di maggioranza dell’immobiliare Gradoli, risulta aver svolto
assistenza tecnico-amministrativa per la Gus e la Gattel [società di copertura del Sisde,
ndr], dalla loro costituzione fino al 14 ottobre
1988. In pari data, per incarico dell’amministratore pro tempore
delle due società, Maurizio Broccoletti, subentrò in
tale consulenza il ragionier Gianfranco Bonori, già sindaco supplente dell’immobiliare Gradoli. Tale attività di consulenza è cessata il 27 luglio
1994».
Dal
capo Br Mario Moretti al funzionario del Sisde Maurizio Broccoletti
Fra il materiale trovato nel covo Br di via Gradoli 96 il 18 aprile 1978
c’erano un appunto manoscritto di Moretti: «Marchesi Liva
– 659127 – mercoledì 22 ore 21 e un quarto» (la data corrispondeva a mercoledì
22 marzo 1978, sei giorni dopo la strage di via Fani e
il sequestro), e un altro «foglietto manoscritto con recapito telefonico n° 659127 dell’immobiliare Savellia».
La sede della Savellia srl
era nel Palazzo Orsini di via
Monte Savello, vicino al Portico D’Ottavia, la zona
del Ghetto ebraico che dista poche centinaia di metri da via Caetani. E il palazzo Orsini era la residenza della «marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani, nobildonna
romana che si firmava anche Liva». Presidente del
collegio sindacale dell’immobiliare Savellia srl era il commercialista Giovanni Colmo. Questi, tempo dopo il delitto Moro, diventerà segretario (e
suo figlio Andrea, membro del collegio sindacale della Savellia,
ne diventerà amministratore unico) della immobiliare Palestrina
III srl, una società di copertura del Sisde. Inoltre, presso lo studio del commercialista
Giovanni Colmo, in via Antonelli,
avranno sede l’immobiliare Proim srl
(dal 1990 con amministratore unico Andrea Colmo e socio il padre Giovanni) e
l’immobiliare Kepos srl:
due società immobiliari di copertura del Sisde.
Il 14 dicembre 1990 l’assemblea della Palestrina III srl nominerà segretario Giovanni Colmo e amministratore
unico il fiduciario del Sisde Mario Ranucci (stretto collaboratore di Maurizio Broccoletti). Il legame fiduciario di Mario Ranucci con il Sisde è certo e
collaudato nel tempo: una sua ditta di pulizie, C.R.
Servizi srl, ha avuto l’appalto delle pulizie negli
appartamenti del capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, negli uffici del Sisde,
negli uffici del capo della polizia Vincenzo Parisi,
e in quelli di molti altri alti funzionari del Viminale.
Per anni strettissimo collaboratore di Maurizio Broccoletti,
nel processo per i “fondi riservati” del Sisde Ranucci ha confermato di essere stato fiduciario-prestanome
per alcune società di copertura del Servizio su mandato del
Broccoletti.
Da via Gradoli al Sisde
In via Gradoli 96, l’appartamento attiguo al covo
brigatista era abitato dalla studentessa universitaria di origine egiziana
Lucia Mokbel, che era un’informatrice della polizia,
e dal suo convivente Gianni Diana. L’appartamento abitato dai due era di proprietà
della società Monte Valle Verde srl, che glielo aveva
ceduto in uso. Il Diana lavorava nello studio del commercialista Galileo
Bianchi, il quale – tre giorni dopo la “scoperta” del covo Br,
il 21 aprile 1978 – venne nominato amministratore
unico della Monte Valle Verde srl in sostituzione del
dimissionario Aldo Bottai. Bottai era il socio
fondatore della Nagrafin spa,
e la Nagrafin poi darà vita alla Capture
Immobiliare srl, una società di copertura del Sisde.
Foto
intimidatorie ai magistrati che cercavano le basi Br
nel Ghetto ebraico
Flamigni ricostruisce
la vicenda di Elfino Mortati, latitante a Roma dopo l’omicidio del notaio
Gianfranco Spighi (avvenuto a Prato il 10 febbraio 1978), arrestato a Pavia ai
primi di luglio del 1978, poche settimane dopo l’uccisione di Moro. Interrogato
dal magistrato, Mortati dichiarò di essere stato in contatto con elementi
legati alle Brigate rosse durante il sequestro Moro. Nel corso della latitanza
romana (dal febbraio ai primi di giugno 1978) Mortati aveva abitato in un
appartamento di via dei Bresciani, e aveva pernottato
diverse volte in altri due appartamenti “coperti”, situati nella zona del
Ghetto, ospite delle Br. Ricorda il giudice
istruttore Ferdinando Imposimato: «Io e il collega
Priore caricammo Mortati su un pulmino dei carabinieri
e girammo in lungo e in largo, anche a piedi, per il Ghetto, ma senza alcun
risultato. Pochi giorni dopo il mistero si infittì
quando mi vidi recapitare in ufficio una foto scattata quella sera, e nella
foto c’eravamo io, Priore e Mortati»; la foto ritraeva i tre mentre erano in
via dei Funari-angolo via Caetani.
Quella foto venne scattata da un osservatorio dei
servizi segreti italiani. Di quell’intimidazione non venne informata la Commissione d’inchiesta sul caso Moro, né
le foto risultano agli atti del processo Moro trasmessi alla Commissione.
Dalle dichiarazioni di Mortati, dagli accertamenti svolti dai vigili urbani,
dalle notizie delle fonti confidenziali trasmesse, gli inquirenti arrivarono a individuare un covo brigatista situato nel Ghetto ebraico
di Roma durante il sequestro Moro (in via Sant’Elena n° 8, interno 9). Ma a quel punto
tutto si fermò: una speciale immunità protesse le Brigate rosse anche nel
Ghetto ebraico.
Una Jaguar, il Ghetto ebraico e un colonnello della P2
Nel covo Br di via Gradoli il 18 aprile 1978 venne trovata la chiave di
un’auto con un talloncino di cartone sul quale c’era scritto su un lato «Jaguar 2,8 beige H 52559 via Aurelia 711», e sull’altro «FS 915 FS 927 porte Sermoneta Bruno». Era una traccia che portava nel Ghetto
ebraico, dove c’erano alcune basi e punti d’appoggio delle Br
che tenevano prigioniero Moro, ma le indagini vennero
avviate solo a partire dal 12 ottobre 1978 (cioè 5 mesi dopo l’uccisione del
presidente Dc). Bruno Sermoneta
era un commerciante di 37 anni che gestiva un ampio negozio di biancheria e
tappeti con ingresso in via Arenula
e retro in via delle Zoccolette, nei pressi del
Ghetto ebraico. Le indagini furono coordinate dal tenente colonnello Antonio
Cornacchia (affiliato alla Loggia P2). Dal rapporto finale del
piduista Cornacchia traspariva evidente che
non era stata svolta alcuna effettiva indagine preliminare nei riguardi di
Bruno Sermoneta, il quale anzi era stato messo al
corrente del ritrovamento della chiave a suo nome nel covo Br
di via Gradoli.
Il
passo carraio vicino a via Caetani
Le indagini per individuare i locali adatti ad accogliere la Renault rossa delle Br sulla
quale il 9 maggio 1978 era stato fatto ritrovare il cadavere di Aldo Moro diedero
«esito negativo». Nella zona del Ghetto da perlustrare era compresa via Monte Savello, dove al n° 30 c’era un passo carraio con accesso a palazzo Orsini che conduceva a un garage. Le forze di polizia
omisero di indagare nei cortili dei palazzi dei nobili
casati. Nella zona era compresa anche via Caetani, là dove c’era un passo carraio che immetteva nel
cortile dei restauri dell’antico Teatro di Balbo, e nell’altro lato della
strada c’era un passo carraio che immetteva in un cortile di palazzo Mattei, confinante con palazzo Caetani;
a quest’ultimo edificio si accedeva dal passo carraio
di via delle Botteghe Oscure 32. E se palazzo Caetani ospitava diverse sedi diplomatiche coperte da
immunità territoriale, non così era per l’attiguo palazzo Mattei,
ideale come “luogo di ricetto di autovettura”, che però le forze di polizia
omisero di segnalare: la Renault delle Br avrebbe potuto entrare e uscire dall’ampio passo carraio
situato in via dei Funari, cioè proprio nei paraggi
percorsi a piedi dai giudici Imposimato e Priore
insieme a Mortati, quando vennero fotografati a scopo intimidatorio.
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