Panorama – Cultura e società

Led Zeppelin: per il loro ritorno, 90 milioni di fan

Sul palco con i Led Zeppelin durante il tour in America nel 1975

Di Raffaele Panizza

Ottantanove milioni di tentazioni. Un milione di speranze. E soltanto 20 mila anime a varcare i cancelli della 02 Arena di Londra il prossimo 26 novembre, per l’insperato concerto che segna la reunion del “Martello degli dei”: i Led Zeppelin.
Sono più gravi del previsto le stime ufficiali sulla pandemia zeppeliniana che sta facendo febbricitare il pianeta. A fornirle a Panorama è David Cox di Outside, l’agenzia londinese che ha ricevuto l’incarico di organizzare l’evento: “Il meccanismo per ottenere i biglietti è noto: ci si registra su www.ahmettribute.com e poi si resta in attesa, nella speranza che il proprio nome venga estratto: non più di due biglietti per famiglia, però” racconta Cox, che chiarisce: “Dopo i primi 20 milioni di accessi è andato tutto in tilt, e siamo stati costretti a sostituire il server. Ma non si trattava di vere e proprie prenotazioni, come è stato scritto dai giornali. A un certo punto, però, il fenomeno si è fatto ancora più spaventoso, e oggi siamo arrivati alla quota di quasi 90 milioni di accessi a fronte di 1 milione di prenotazioni effettive. Incredibile per un evento organizzato in un palasport. Il prossimo 1º ottobre, ultimo atto, estrarremo a sorte i fortunati”.

Le richieste (anche se sarebbe più giusto parlare di suppliche) per partecipare a questo show di beneficenza, realizzato in segno di tributo al compianto fondatore della Atlantic records Ahmet Ertegun, sono arrivate da tutto il mondo. Centinaia di migliaia dagli Stati Uniti e dall’Europa, terre dove i Led Zeppelin hanno suonato in lungo e in largo dal 1969 al 1980, anno del loro scioglimento seguito alla morte del batterista John “bonzo” Bonham (che a Londra verrà sostituito dal figlio Jason), avvenuta per una sorta di coma etilico da vodka nella villa londinese che il vocalist Robert Plant aveva da poco acquistato dall’attore Michael Caine.

Il video dei Led Zeppelin in Stairway To Heaven

Ma anche dall’Australia e dai paesi asiatici, con Singapore in testa, ci sono fan disposti a sborsare le 125 sterline del biglietto (circa 180 euro), da sommare al prezzo del biglietto aereo per la trasvolata oceanica e all’albergo. E che nessuno si metta in testa operazioni di bagarinaggio: “A chi si aggiudica il biglietto cercheremo di non dare la possibilità di specularci su: i tagliandi che saranno trovati in vendita su eBay verranno annullati” fa sapere, senza un minimo di ironia, il promoter Harvey Goldsmith.

Il palpito collettivo è in atto e, come accade per le cose magiche, è inutile andare a cercare letture nella fredda logica dei vivi. Vince l’irrazionale. Lo sconfinamento nell’immaginifico. Oppure “la voglia, mista alla paura, di concedersi una sorta di esperienza iniziatica: andare a vedere quanto sono cambiati loro, per scoprire in realtà quanto siamo cambiati noi” suggerisce Massimo Cotto, 45 anni, conduttore di No man’s land su Radio Capital e autore di numerosi libri dedicati alle icone del rock. Nel suo giro di amici, racconta, non c’è praticamente nessuno che non si sia iscritto al sito nella speranza di essere sorteggiato, o che non abbia messo in moto la macchina delle conoscenze per ottenere un tagliando: “E non sono certo tutti fan incalliti. Anzi: è che ciascuno ha voglia di prendersi la propria porzione di sogno. Andare a vedere i Led Zeppelin è un po’ come diventare azionisti della storia del rock. Perderseli è come arrivare a cinquant’anni senza aver letto Delitto e castigo di Dostoevskij”.

E la vede così anche Alessandro Deidda, batterista delle Vibrazioni, la band italiana che più di tutte ha sempre dichiarato amore sconfinato ai Led: “Per capire il mio livello di ammirazione, mi sono comprato il lettore dvd solo quando sono usciti i primi dvd dei Led Zeppelin» racconta, in una pausa del tour. «Sto facendo carte false per aggiudicarmi un biglietto per Londra. Ho fatto iscrivere anche la mia fidanzata facendole giurare di cedermi il tagliando in caso di estrazione. Ma anche nella delusione, non mi dispererei. Nell’ambiente la notizia la si dà per certa: dopo l’esibizione londinese partirà un tour mondiale”.

Voglia matta e marketing perfetto, quindi. E bando a chi, come è accaduto nelle recenti reunion dei Genesis, degli Who e dei Police, ha parlato di malinconiche e patetiche operazioni di geriatric music. “La cultura rock è sempre stata eccessivamente giovanilistica, e questo ne ha limitato le possibilità di espansione verso forme musicali considerate più nobili: i musicisti blues e jazz suonano finché non crepano sulla tastiera del loro pianoforte, non si vede perché non debba valere la stessa cosa per il rock”. La vede così Jonathan Lethem, scrittore statunitense di culto e autore per il mensile Rolling Stone di indimenticabili ritratti dedicati alle più grandi leggende del rock. “È inutile cercare spiegazioni sociologiche per dare conto di 90 milioni di persone che sognano contemporaneamente la stessa cosa. È come per le comete: non conta quanto tempo sia trascorso dall’ultimo passaggio: se tornano, il mondo si ferma a guardare il cielo”.

Poi c’è chi cerca una chiave di lettura nella musica stessa, nel suo linguaggio. Come fa Franco Mussida, chitarrista e compositore della Premiata Forneria Marconi e fondatore a Milano del Centro professione musica: “Lo vedo in tutti i giovani musicisti, e nei chitarristi in particolare: per loro i Led Zeppelin sono l’emblema delle passioni, del dolore e dell’ispirazione che su un palco si trasformano in carne, sangue e sudore. Sono i profeti di un’animalità perduta, della rabbia espressa nella teatralità dei corpi, nella forza di un gesto capace di rendere visibile al pubblico l’interiorità. Dopo di loro è arrivata l’industria. Dopo di loro sono nati i cloni”.

Perché davvero sono tutte figlie dei Led Zep le band rock che scalano le classifiche in questi ultimi tempi. E senza la loro ispirazione, forse, neppure esisterebbero. Ne è convinto Gianluca Galliani, figlio del vicepresidente del Milan Adriano, fondatore del canale satellitare Rock Tv: “Non passa giorno in cui la nostra tv non trasmetta un loro pezzo” racconta Gianluca, che spera di riuscire a ottenere i permessi necessari a realizzare a Londra un grande servizio sulla reunion. “E più li ascolto, più mi accorgo di quanto le nuove band debbano tutto a Jimmy Page e compagni: penso ai The Strokes per esempio, oppure ai White Stripes. Per il nostro mondo, i Led hanno rappresentato molto di più dei Beatles”.

E per una curiosa declinazione dell’eterno scontro generazionale, sono proprio i più giovani ad apparire disposti davvero a tutto pur di non perdersi ancora una volta ciò che per motivi anagrafici non hanno potuto vivere. Chi è nato negli anni Settanta ha annusato i dischi dei fratelli più grandi e si è sentito derubato di un privilegio unico. Chi invece li ha ascoltati decine di volte dal vivo, a Londra come a New York, si nasconde dietro una sazietà che forse maschera il terrore per una cocente delusione. Lo dice chiaro e tondo Nigel Williamson, classe 1954, autore per l’editore Penguin della Rough guide to Led Zeppelin e considerato il loro storico più accreditato: “La reunion del 1985 in occasione del Live aid fu un disastro, tanto che loro stessi ottennero che la loro esibizione non fosse inclusa nel dvd antologico. E anche quella del 1998, l’ultima, non fu all’altezza: Plant si dimenticò le parole di Kashmir e Page sbagliò l’assolo di Heartbreaker. Chiedo venia, ma proprio non me la sento di unirmi al coro di giubilo che sale dal mondo dei fan”.

Aspettando il responso del pubblico, nelle prossime settimane uscirà un nuovo Best of, poi il dvd di The song remains the same, e il relativo cd rimasterizzato arricchito di sei inediti. Interessante. Ma chi, per ragioni anagrafiche, non li ha mai visti su un palco, è stufo di nutrirsi di soli cd. Che gli scettici si facciano da parte: lasciateci fare il nostro tuffo in questo attempato, e innocuo, sogno lisergico.

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