Ragionamenti intorno a due ipotesi deboli

Un paio di mesi or sono ho avuto a Monza un interessante scambio di vedute con Adriano Fragano. In quella occasione mi ha descritto come vede il problema della crescita dell’animalismo, argomento che ha ripreso nella risposta a Ricci.

Convengo con lui che l’insistenza con la quale Ricci sottovaluta la lobby dei cacciatori trascura quel complesso commerciale/industriale che ne costituisce la considerevole forza. Poiché società moderna e affarismo sono sinonimi, ne deriva che la forza dei cacciatori va ben oltre quel numero, comunque tutt’altro che sparuto, di 700 mila unità che Ricci insistentemente richiama. Penso inoltre che, per circolazione di denaro, i 700 mila di oggi siano più influenti del numero doppio di ieri.

Detto questo, vorrei dire che mi sfuggono alcuni passaggi di Adriano. Non comprendo bene se lui sottoscrive oppure no alcune soluzioni di Ricci. Cercherò di esprimermi con più chiarezza possibile in modo da facilitare sue eventuali e ulteriori precisazioni.

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Illustrare la differenza tra l’animalismo italiano e quello inglese è necessario. Ma lo stimolante scritto di Ricci è impostato proprio sulla prospettiva di rendere il primo simile al secondo. Perciò il problema non è tanto dimostrare se siano diversi, quanto piuttosto se possa essere iniziato un processo che permetta (oppure no) questo passaggio.

Ricci propone 4 soluzioni...

  1. Una lobby che abbia influenza sulle scelte del Parlamento.

  2. La creazione di un partito animalista.

  3. L’entrismo in più partiti

  4. L’entrismo in un partito

Mi sembra, (ma non sono sicuro di aver compreso bene) che Adriano sottoscriva due possibilità: la prima e l’ultima.

Per quanto riguarda la prima, cosa significa infatti agire “sul portafogli e sul voto” se non invitare alla costruzione di una lobby? La lobby è l’azione sul Parlamento attraverso l’influenza esercitata mediante relazioni “sporche” (in senso formale, non morale) esterne al Parlamento. Il coordinamento di una massa estesa di consumatori vegetariani potrebbe essere un sistema per influenzare la politica negli stessi modi in cui lo fanno, per esempio, i cacciatori. Ma allora, mi chiedo, non è questo un tentativo di ripercorrere il modello anglosassone? A giudicare da alcuni esempi (vedi la PeTA in America) non mi sembra un modello da perseguire. Su questo vorrei tornare dopo.

La seconda proposta di Adriano ruota intorno all’ipotesi di cambiare i connotati di “un partito politico abbastanza piccolo per subire un voto animalista e che ha o dovrebbe avere nel suo dna un’empatia con la nostra causa.” Ma a questo punto non comprendo bene. Non contrasta questa dichiarazione con quella fatta in precedenza (A mio avviso è basilare formare un gruppo di pressione animalista e NON un partito animalista, lasciamo la politica ai politici, creiamo un gruppo importante con un peso economico rilevante, saranno poi i politici a venire da noi e non viceversa.)?

Ritengo questi due aspetti piuttosto importanti, perciò partirò da essi per illustrare il mio punto di vista.

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L’ipotesi della lobby a me non piace per le ragioni che ho già spiegato in occasione dell’incontro a Monza. Giudico l’animalismo un’idea contigua alle grandi rivoluzioni concettuali (che in genere preannunciano, magari con molto anticipo, altri tipi di rivoluzioni) avvenute nel passato e mi sembra un’operazione molto debole ridurlo a una specie di sindacato di consumatori. Se l’animalismo possiede davvero i caratteri della grande prospettiva, deve essere accompagnato da idee forti che possono essere seguite da soluzioni secondarie del tipo prefigurato da Adriano, ma non possono certo essere da esse caratterizzate o fondate. A ciò va aggiunto che se i soldi (o il portafogli) svolgono una certa influenza “fuori” del movimento, alla lunga, se non sono supportate anche da alte idealità, finiscono per influenzare anche il “dentro”. In proposito ricordo, a puro, titolo d’esempio che quando il PCI incominciava a tradire la causa del socialismo, i comunisti dentro le coop erano tali solo di nome e niente di fatto già da molto tempo e ragionavano come normali manager di un ente di distribuzione con un pragmatismo insopportabile. Avevano, insomma, fatto scelte “realistiche” con decenni di anticipo.

La LAV non è un esempio moderno di ente puramente gestionale in cui le idealità si sono, non dico dissolte, ma almeno (lasciatemelo passare) indebolite? Per ritornare all'esempio della PeTA, ci ricordiamo di quella bella pagina web in cui la grande organizzazione, con l'accompagnamento di una disgustosa retorica patriottarda, mandava cibi vegetariani agli eroi che andavano a combattere in Irak.

Ora, LAV e PeTA, pur offrendo l’immagine che offrono, continuano tuttavia a fare animalismo (nei modi in cui lo sanno fare). Mi chiedo cosa accadrebbe se l’idea di animalismo ruotasse intorno a qualche ufficio di consumatori vegetariani...

Comprendo che questa ipotesi possa nascere dalla considerazione che l’animalismo oggi combina poco o nulla. E condivido con Adriano l’angoscia che deriva da questa percezione ma prima di adottare alternative dubbie, per non dire pericolose, dovremmo tentare di prefigurare gli sviluppi e gli effetti secondari delle nostre idee.

Consideriamo anche che il “vegetarismo spontaneo”, cioè quello che può essere promosso mediante banchetti, filmati, geremiadi e, a questo punto aggiungo, promozioni varie di una lobby veg**, possiede un limite anche se Ricci contina a essere convinto che nel 2050 metà della popolazione italiana sarà vegetariana (chissà quale sociologo ha messo in giro questa scemenza). Il gelato alla vaniglia, il capuccino con la brioche, la frittata sono cose buone e non c’è verso di spostare tanta gente verso la rinuncia con modalità simili a quelle pubblicitarie. Senza una forte motivazione ideale queste scelte NON si fanno! Anzi, talvolta non si riescono a fare neanche con quella.

Per concludere questa parte dirò che la questione animale non può essere risolta con il “consumo consapevole”. Se al mondo avessi una sola certezza, sarebbe appunto questa.

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Anche la seconda proposta, quella di influenzare UN partito politico che è ancora abbastanza piccolo per subire un urto animalista, e che (a grandi linee) ha (o aveva, o dovrebbe avere) nel suo dna un'empatia con la nostra causa, mi lascia abbastanza perplesso. Un partito che risponde a certi requisiti esiste? Adriano mi permetterà di scherzare? Allora dico che mi cimento a fare lo psicanalista e deduco che il suo inconscio l’ha indotto a pensare, senza esporsi, ai verdi. Non male, considerando che qualcun altro, recentemente, ha scommesso sul gruppo fantasma “Patto Segni” ;-).

E allora ragioniamo sui verdi. Possiamo chiederci perché gli animalisti si ostinino a vedere in un partito irrimediabilmente specista un gruppo di persone che possano avere un’empatia con la causa animalista. Quante batoste dovremo prendere per capire chi sono e cosa vogliono quelli? Quante delusioni dovremo patire per capire che non ci sono affatto affini? Ma anche se tra i verdi vi fosse una componente più vicina alle nostre posizioni antispeciste, si può davvero pensare, come sembra credere anche Paolo Ricci, che tutto il partito sia disponibile a farsi fagocitare (o influenzare, o trasformare da gente che piomba dall’esterno con l’intento di mandare in pensione la vecchia guardia e sostituirla integralmente? Quelli hanno denti di ferro, se non li avevano all’origine, se li son fatti crescere o impiantare frequentando una autentica classe sociologica (i politici) fatta di gente con i denti di ferro. Vi immaginate la fatica? No, non penso che sia una posizione sostenibile. Senza pensare che il lavoro di adattamento a una realtà presistente è cosa terribilmente complicata. Non è meglio partire ex-novo?

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Per queste ragioni penso che anche questa non sia una strada percorribile. Poi, e qui condivido in pieno le perplessità di Adriano, non avrebbe senso neanche fare entrismo in più partiti per le ragioni da lui stesso accennate. Perciò ritengo che alla fine il discorso debba scivolare sull’unica domanda che per me ha senso: è plausibile che gli animalisti abbiano un partito loro? Come rispondere alla domanda topica? Io qui mi arresto. Spero che il dibattito possa indagare questa possibilità che è ancora il tremendo tabù di tutto l’animalismo.

Saluti animalisti
Aldo Sottofattori

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