Etica e politica nell'animalismo

Questo scritto nasce come parte di discussione nella lista "animali" di Peacelink, ma, trattandosi di una discussione sulla politica e avendo il discorso un senso compiuto senza che sia necessaria per la sua comprensione la lettura degli interventi precedenti, lo riportiamo anche qui.

Troppo spesso chi si occupa direttamente di animali non umani nel concreto non ha tempo e voglia di confrontarsi con la relativa questione teorica, mentre troppo spesso chi si occupa della teoria dell'animalismo è troppo distante dall'intervento "sul campo" per poterne trarre degli adeguati insegnamenti. Vi sono però persone che teorizzano e mettono in pratica ciò che hanno formulato e questa è la strategia vincente.

E' incontestabile che chi si occupa di aiutare direttamente nel concreto gli animali non umani non può far altro che tappare le "falle" di un sistema basato esclusivamente sullo sfruttamento del più debole, nonostante gli sforzi immani di moltissimi volontari spinti da grande volontà e forza d'animo, la situazione NON può cambiare, perché equivarrebbe a tentar di svuotare l'oceano con un bicchiere. Il problema ha radici ben diverse e ben più fondamentali del contingente, e chi si occupa di soccorrere nell'immediato le vittime del sistema, implicitamente lo accetta perché contribuisce SOLO ad alleviare le sofferenze delle sue vittime, non ad eliminare la causa delle loro sofferenze, che (paradossalmente) spesso proprio a causa dell'intervento riparatore continueranno ad essere sfruttate.

Per contro chi teorizza sulla questione animalista ed antispecista troppo spesso si trova imbrigliato in questioni di principio che lo astraggono dalla realtà dei fatti trascendendola, ciò è dannoso, perché porta inevitabilmente tali persone ad assumere delle posizioni attendiste esclusivamente basate sulla speranza di eventi epocali utili ad eliminare la situazione stagnante, troppo spesso la visione teorica del problema allontana pericolosamente dalla realtà dei fatti.

Credo che l'ovvia soluzione del problema sia: operare nel concreto, aiutare gli animali non umani, MA con una strategia di fondo organica e di lungo termine, atta a non vanificare gli sforzi degli animalisti, ma ad imbrigliare le energie spese sul campo per costruire una nuova concezione di società umana distante da quella iniqua e sanguinaria in cui ora viviamo.


Facile a dirsi e difficile a farsi.


Ho letto (non approfonditamente purtroppo) gli interventi di questi giorni in lista sulla questione politica, e più nel dettaglio marxista, e (a prescindere dall'approccio ben poco diplomatico e conciliante) credo che vi sia un errore di fondo. Per quanto mi riguarda ho una concezione un po' più pratica della questione.

Tentare di riformare, o rifondare, o riscrivere una filosofia nata su presupposti fondamentalmente antropocentrici (perché così è checché ne dicano alcuni di coloro che sono intervenuti nella discussione) mi pare, allo stato dei fatti, un puro e semplice esercizio di stile, e per nulla facile. Non scarto a priori l'idea di cercare di rileggere il marxismo in chiave animalista, a mio avviso vi sono moltissimi elementi utili e "riciclabili" per la causa, ma credo che nella situazione in cui si trova attualmente il movimento animalista italiano (se vogliamo considerarlo tale con uno sforzo ottimistico), l'approccio diretto in chiave marxista del problema sia sbagliato e strategicamente controproducente. E' innegabile che gran parte di coloro che si definiscono animalisti siano politicamente vicini al pensiero della sinistra per ovvi motivi, ma non credo che il problema maggiore ora sia cercare di dare dignità storico-filosofica ad un movimento ancora così multiforme e disordinato, credo invece che sarebbe opportuno cominciare a lavorare nel concreto su basi ETICHE condivisibili da tutti, basi veicolate ovviamente da principi filosofici ed anche politici utili per la crescita del movimento per la liberazione animale.

Dico questo perché io credo che lo stesso diritto di reinterpretare la questione animalista in chiave politica lo hanno ad esempio anche gli anarchici, che (a ragione) possono vantare una serie di principi molto vicini al sentire animalista ed ancor più antispecista. Lo stesso diritto lo potrebbero avere anche coloro che credono in una religione, cercando di interpretare ed adeguare principi generali alle esigenze dell'animalismo, e così via. Vi sono già molti gruppi anarchici che si interessano di animalismo, come anche gruppi di credenti in varie religioni che fanno lo stesso percorso. Ora la domanda sorge spontanea: per quale motivo si dovrebbe scegliere tra una soluzione o l'altra? E soprattutto CHI potrebbe arrogarsi il diritto di farlo?

La soluzione non è certo semplice, però io credo che il tutto possa essere risolto con un coraggioso SUPERAMENTO delle posizioni ideologiche e dogmatiche del passato, mediante una rielaborazione e riutilizzo di tutti quei principi filosofici e politici utili (e compatibili, ovvio) a costruire una nuova ETICA ANTISPECISTA, alla quale tutti coloro che credono nella liberazione animale potrebbero aderire. Sto proponendo un miscuglio? un puzzle? No. Ciò che intendo è un reale superamento di barriere ideologiche e di posizioni anacronistiche che ancora vivono e vegetano tra molti attivisti animalisti. Tale superamento può solo avvenire tramite un confronto diretto e franco tra tutte le anime del movimento, in modo da stilare una carta fondante dell'animalismo utile al raggiungimento dell'antispecismo.

Si badi bene che il mio non è assolutamente un intento riformista, nella maniera più assoluta non lo è. Ciò che propongo è la nascita di una nuova corrente filosofica e quindi etica e quindi politica esclusivamente e prettamente antispecista.

L'antispecismo (il superamento della discriminazione dell'altro in quanto appartenente ad una specie diversa e giudicata inferiore) credo debba essere lo status a cui il mondo animalista italiano ha in dovere morale di tendere mediante impostazioni etiche CHIARE, DIRETTE e SEMPLICI.

Solo in questo modo si potrà spazzar via gradualmente, od in un sol colpo, tutto il marasma pseudoculturale che vige ora sulla questione, solo così si potrà davvero chiarire CHI è animalista e CHI non lo è; al giorno d'oggi tutti a vario titolo si professano animalisti, scambiando la zoofilia, il protezionismo, l'ambientalismo, il conservazionismo per animalismo. Anche lo sfruttamento degli animali viene perpetrato in nome di una presunta ed assurda coscienza animalista (chi non ha sentito almeno una volta parlare un vivisettore del rispetto e della pietà se non dell'amore che prova per gli animali che tortura? Chi non ha sentito un cacciatore dire che chi ama davvero la natura e la protegge sono i cacciatori?), urge quindi NON perdersi nei meandri di una discussione teorica su quale sia il bagaglio storico-politico più adatto per dare dignità all'animalismo, ma CHIARIRE mediante una serie di considerazioni filosofiche e logiche, quale sia l'ETICA dell'animalista italiano, quali siano i doveri dell'animalista italiano, quali le aspirazioni, quali le virtù.

Urge chiarire una volta per tutte che l'animalismo fonda le sue basi su un criterio di somma GIUSTIZIA, ed in base a tale criterio è necessario operare.

Come può essere possibile che si definisca animalista chi NON intende stravolgere e cambiare questa società umana che sfrutta e uccide i più deboli? Come può pretendere di essere animalista chi salva magari un cane e poi si mangia un panino imbottito da un pezzo di maiale? Come può pretendere di definirsi animalista chi non crede fermamente che in un futuro (anche se remotissimo) gli animali non umani saranno davvero liberi?

A queste domande OCCORRE rispondere, ed occorre farlo SUBITO, ORA, e non dopo aver adeguato tramite una revisione storica e politica una filosofia preesistente piuttosto che un'altra.

Per quanto riguarda il mio punto di vista (sempre che possa interessare a qualcuno), io credo fermamente che l'animalismo debba trarre ispirazione e insegnamento dei principi della sinistra, in quanto unica corrente di pensiero che anela alla libertà, alla giustizia e all'uguaglianza, al diritto del più debole e all'abbattimento di una società fondata sullo sfruttamento, sulla prevaricazione e sul capitale. Credo però che vi siano molti punti utili e assolutamente importanti, che provengono da altre correnti di pensiero che parimenti potrebbero contribuire alla formazione di una nuova identità antispecista, sorta dalle ceneri di filosofie ed etiche ormai insufficienti per poter garantire l'allargamento della questione morale anche agli animali non umani. mediante questo lavoro (immane, è vero) si potrebbero stilare una serie di principi morali utili ed indispensabili per contraddistinguere un nuovo soggetto: l'animalista, destinato a divenire antispecista e come tale ad assumere uno stile di vita consono ed adeguato a questo nuovo status.


In parole povere ciò di cui parlo, altro non è che un progetto che getti le basi necessarie ed indispensabili per forgiare un nuovo soggetto da imporre all'attuale società in attesa della sua rifondazione, un nuovo soggetto che dispone di solide basi culturali, filosofiche e morali utili ad aiutarlo ad abbracciare una nuova etica antispecista, un nuovo approccio a tutti i problemi quotidiani, una nuova visione di insieme. In questo modo si potrà facilmente aiutare in concreto tutti gli animali non umani, con azioni sul campo, con il volontariato, con il consumo critico, con la protesta, con il boicottaggio e l'attività pubblica e (quindi) politica. Tutte azioni utili e COERENTI.

Come potete vedere, l'approccio che io intendo al problema è ben diverso da quello suggerito da chi vorrebbe aprire un confronto dialettico esclusivamente su di un fronte, ciò che NON si può e NON si deve fare, infatti, è bypassare il problema etico dell'animalismo per affrontare direttamente quello politico. E' VERO IL CONTRARIO: il problema politico sarà affrontato e risolto solo quando il problema etico sarà ben chiaro e condiviso da tutti.

Non si può progettare a tavolino una nuova filosofia da proporre agli sfruttati come è successo nel passato recente o remoto dell'uomo, nel nostro caso SI DEVE vivere in prima persona il nuovo paradigma da seguire, perché gli sfruttati sono gli animali non umani che NON possono recepire e far propri i nostri principi, siamo noi che dobbiamo riparare al danno.


Per meglio spiegarmi passo a fare un esempio:


Poniamo il caso che si avvii una discussione di carattere generale sulla reinterpretazione del marxismo in chiave animalista, gli interlocutori disquisiranno sulle varie opportunità che la filosofia in questione offre all'animalismo, ma a che titolo gli interlocutori parlerebbero? Come diretti interessati? Come studiosi della questione? O come soggetti IN QUESTIONE? Se un animalista può definirsi tale anche senza aver mai messo piede in un canile per aiutare un cane, o continuando a mangiare carne, o accettando le regole imposte da questa società e sperando esclusivamente che esse cambino in meglio, con quale diritto può permettersi il lusso di parlare di quale strumento politico adoperare per giungere alla liberazione animale?

Gli antischiavisti statunitensi agivano (liberavano gli schiavi) e contemporaneamente teorizzavano, ma non credo che nessuno di loro avesse nel frattempo schiavi in casa. Questo esempio banale serve a far capire che prima di passare alla questione politica si dovrebbe almeno risolvere l'urgenza ETICA dell'animalismo, si dovrebbe perlomeno tendere alla COERENZA, e dovremmo essere noi animalisti PER PRIMI a metterci in discussione e a cambiare radicalmente PRIMA di pretendere di cambiare gli altri e la società. Troppo comodo dire "armiamoci e partite". Non lo ritengo né serio, né utile.


saluti animalisti.

Adriano Fragano

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